Il dente con prognosi incerta

Fabio Betteti

Fabio Betteti

Trattamento endodontico o terapia implantare?

L’opportunità di recuperare un dente compromesso piuttosto della sua estrazione e sostituzione con un impianto è oggi argomento molto dibattuto su riviste scientifiche e sul palco di molti congressi.

In pratica: è meglio un trattamento endodontico o una terapia implantare?

Per l’endodontista che tratta esclusivamente i casi a lui inviati dai colleghi non specialisti, tutti i denti sono salvabili e nessun impianto è meglio del dente naturale. Al contrario per il chirurgo implantologo, l’impianto è l’opzione terapeutica più affidabile in ogni caso. Ovviamente la verità, come sempre, sta nel mezzo. Con queste concezioni “integraliste”, probabilmente dovute anche all’interesse personale di chi fa solo endodonzia o solo implantologia, si perde di vista ciò che è più giusto fare in quel particolare caso. Ecco allora che il leitmotiv della filosofia professionale “fare bene le cose giuste” deve, come sempre, guidarci nella pianificazione del trattamento e/o nelle sue modifiche in itinere.

Un piano di trattamento ideale dovrebbe considerare ciò che il paziente desidera, fornire un risultato che duri nel tempo il più possibile, valutarne la convenienza in termini economici e costi biologici e soddisfare le sue aspettative. In definitiva il trattamento dovrebbe essere centrato sul paziente e non essere guidato solamente dal desiderio del clinico di fare un’altra esperienza professionale nell’ambito della propria specializzazione.

Il dott. L. Stephen Buchanan, un endodontista statunitense di fama mondiale, afferma ormai da tempo la necessità di uscire da un ruolo monospecialistico di visione del caso ed aprire i propri orizzonti di valutazione a 360° per poter rispondere alla domanda: “Posso ritenere affidabile questo dente per i prossimi 15 – 20 anni?”

Il dente con prognosi incerta.

I fattori coinvolti nel processo decisionale sul recupero del dente a prognosi scarsa mediante trattamento endodontico, o la sua estrazione e sostituzione con un impianto, li possiamo distinguere in fattori pertinenti al paziente, al dente, al parodonto e fattori legati al trattamento stesso.
Per fattori legati al paziente si intendono quelli relativi alla presenza di malattie sistemiche, malattie orali, all’assunzione di particolari farmaci, al fumo, allo stato psicologico e alle sue aspettative. Ad esempio alcuni pazienti possono sentirsi frustrati dalle continue recidive cariose cui vanno incontro: tentare di recuperare questi denti con la terapia endodontica può essere controproducente poiché a fronte dei costi sostenuti avremo un risultato che facilmente sarà compromesso da un’ulteriore recidiva. Questi fattori possono escludere a priori un trattamento rispetto all’altro. In questa sede invece voglio parlare dei fattori legati al dente stesso ed al suo contesto parodontale che possono influire sulla scelta terapeutica.

Innanzitutto non si tratta di scegliere un trattamento rispetto all’altro solo perché il suo tasso di successo è più elevato. Un importante studio canadese di revisione sistematica sulle percentuali di successo del trattamento endodontico ha evidenziato risultati positivi nel 91 – 97% dei casi, sia dopo il trattamento iniziale che dopo il ritrattamento (Friedman), su denti con parodontite apicale cronica (granuloma) che rimanevano in funzione asintomatica nonostante una guarigione incompleta. Questi dati sono indubbiamente sovrapponibili alle percentuali di successo riportate per la sostituzione del dente singolo mediante un impianto (Creugers).

Quindi l’evidenza ci dice che ambedue le terapie sono efficaci ma non per questo gli endodontisti devono comunque ritrattare denti con cattiva prognosi e gli implantologi estrarre denti che potrebbero essere salvati!

Fattori da considerare per un corretto trattamento endodontico.

I fattori da prendere in considerazione quando si deve decidere se devitalizzare o meno un dente molto compromesso sono in ordine di importanza:

  1. l’integrità strutturale del dente
  2. il tessuto parodontale di supporto attorno al dente e solo per ultimo
  3. le difficoltà del trattamento

La miglior cura canalare al mondo non è in grado di fornire una ottima prognosi a lungo termine per un dente indebolito. Una delle decisioni più difficili, in termini di integrità strutturale, riguarda il da farsi in caso di un dente con una frattura verticale che arriva appena sotto il solco gengivale. “La mia esperienza – dice il citato dott. Buchanan – mi ha insegnato che questi casi falliscono spesso a breve-medio termine mentre falliscono sempre a lungo termine”.
La prognosi a lungo termine di un dente devitalizzato diventa ancora più importante in caso di ritrattamento di un fallimento endodontico. Bisogna chiedersi: “Vale la pena ritrattare questo dente nel contesto del piano di cura? È giusto spenderci tempo e denaro partendo da una data situazione già compromessa e sapendo che il mio reintervento, anche se potrà risolvere (forse) una lesione periapicale, indebolirà ulteriormente l’elemento esponendolo ad un elevato rischio di frattura?”

Per esperienza, il trattamento endodontico e il ritrattamento sono controindicati quando la struttura residua del dente è pressoché assente a livello gengivale. I denti anteriori fratturati o cariati sotto il margine gengivale hanno, in accordo con quanto insegnano i protesisti, una prognosi a lungo termine molto dubbia. Sebbene sia spesso possibile restaurare questi denti con perni moncone, a meno che non si riesca a far chiudere la corona definitiva su 2 mm di struttura dentale sana con un buon effetto ferula a 360°, essi sono altamente a rischio di frattura verticale. Sebbene queste situazioni debbano essere valutate caso per caso, in generale i pazienti con questi problemi saranno meglio trattati con un impianto.

Anche certi accanimenti terapeutici per salvare un dente compromesso vanno rivisti oggi alla luce dell’alta percentuale di successo della terapia implantare. Prima dell’avvento di impianti che funzionassero, estrarre un pilastro distale (l’ultimo dente su cui si cementava il ponte) significava per il paziente dover portare una protesi parziale mobile per ripristinare la funzione masticatoria oppure vivere senza quel ripristino. Con l’endodonzia si cercava di salvare tutto il salvabile e i pazienti venivano sottoposti anche a trattamenti con cattiva prognosi perché non esistevano alternative.

Oggi l’alternativa c’è e si chiama implantologia osteointegrata e ci permette di dare al paziente una valida alternativa al trattamento endodontico quando questo è sconsigliato dalla precaria situazione strutturale e/o parodontale del dente o quando il paziente non sia motivato a conservarlo.

Dr. Fabio Betteti

Laureato in Medicina e Chirurgia all’Università di Padova nel 1983. È stato allievo del dott. Gianfranco Carnevale frequentando il corso biennale di perfezionamento in Parodontologia (1987-1988). Si è perfezionato in Implantologia sotto la guida del Prof. Ugo Consolo all’Università di Modena e Reggio Emilia (2005). Ha inoltre frequentato corsi nazionali e internazionali di aggiornamento e perfezionamento in chirurgia parodontale e implantare e corsi di endodonzia. Si occupa prevalentemente di endodonzia e terapia parodontale.

PREV POST NEXT POST

Articoli correlati